Buongiorno a tutti.

Nell’ultimo post ho inserito due infografiche nelle quali è possibile trovare espresse dettagliatamente le competenze, le attività e i servizi che caratterizzano le due professioni, quella di ottico e quella di optometrista. Sono convinto che tutti i professionisti del settore le dovrebbero stampare e tenere sempre presenti e, per quanto riguarda i contenuti, sentirle proprie e diffonderle e rivendicarle e pretendere che fossero rispettate, soprattutto dagli altri professionisti.

Ho paura che, invece, la maggioranza dei miei lettori, già poco numerosi, non dia eccessiva importanza al lavoro fatto con la stesura di quei manifesti. Come invece dovrebbe per difendere la propria professione. E se questo è il presente, il futuro non sarà certo migliore.

Sul tema mi viene in aiuto una lettera inviatami da un caro amico e apprezzato professionista, Sergio Cappa, che ringrazio del contributo. La pubblico senza commenti, mi piacerebbe avere i vostri.

Ciao inossidabile amico Alessandro,
mi permetto di aggiungere qualche considerazione al sapore avvilito e demoralizzato della lettera dell’amico Vito, letta sul tuo blog del 30 maggio scorso. La parola che ricorre, e attorno al quale si racconta, è delusione, che con amara ironia descrive quella tristezza sfumata di rabbia che si genera quando percepiamo che le aspettative non le crediamo soddisfatte. Talvolta è assimilata alla disillusione, che esprime però il disinganno verso un fantasma. La delusione rivela invece l’avvilito dolore verso una promessa concreta tradita, un impegno reale non mantenuto e tale è la comune storia e narrazione dell’Optometria. Una storia che conosco e riconosco da tempo essendo, come sai, un optometrista della prima ora all’ISSO di Milano.

Ma l’optometria è un progetto, uno schema, una procedura, mentre reali sono gli optometristi, le associazioni che li vedono accomunati, i politici che li vogliono rappresentare; di loro ed a loro dobbiamo riferirci se intendiamo ripercorrere la storia di questa pregevole ma disarticolata professione.

Cominciamo da questi ultimi.
Scagliarsi sui politici è, si sa, assodato sport nazionale, ma è come sparare sulla Croce Rossa: troppo facile. L’amministratore della cosa pubblica non è, né potrebbe essere, onnisciente e si affida, a volte sopra le righe, a gruppi, lobby, gilde, associazioni che, attraverso forme di pressione variegate e convincenti, inducono il legislatore ad orientarsi in un senso o nell’altro. Dovremmo quindi aprire il fascicolo d’indagine su chi ha guidato la mano del politico in quella direzione e scopriremmo, per quel che ci riguarda, che la mano raramente è di un optometrista. Altre categoria hanno un ben consolidato potere di influenza sul legislatore.

E veniamo alla categoria.
Acidamente mi chiedo innanzi tutto se siamo una categoria.
Le associazioni professionali, presenti a partire dal secondo dopoguerra, oggi sono molte, troppe, ed alcune di dimensione condominiale; complessivamente raccolgono un numero di associati che, fatto cento il numero degli optometristi, possiamo azzardare non contino più del…10%. Volessimo essere ancor più generosi resta comunque che molti di più sono coloro che si associano alle catene distributive, e questo non è privo di significato esplicito. Le associazioni di categoria quindi rappresentano uno sparuto gruppo di colleghi, spesso in dissidio tra loro anche solo su cavillosi distinguo sul chi siamo (ottici / ottici-optometristi /optometristi / optometristi laureati /… richiamati anche dall’amico Vito), presenti in congressi, spesso autocelebrativi, orgogliosi di mostrare la propria inarrivabile sapienza, ma comunque sempre piccolo gregge che si annusa, conosce e riconosce, nell’indifferenza totale della stragrande maggioranza di sconosciuti colleghi. In una categoria si riconosce una partizione (un gruppo) alla quale appartengono individui o cose di una medesima natura o di un medesimo genere; gli ottici (optometristi o non) sono invece un insieme non ordinato di sconosciuti atomi mercantili all’interno dei quali un esiguo capannello di loro spende tempo e denaro per incontrarsi periodicamente in congressi e fiere a confrontare la propria professione, dando origine alla categoria; quella di chi si incontra.

Ed ora gli oculisti.
Per costoro il termine categoria è più consonante. Giustamente l’amico Vito riconosce loro una specifica omogeneità, quanto meno perché il titolo di studio, la laurea e il master, è per loro uguale in tutto il paese. Le associazioni di categoria, la prima delle quali è nata a metà ottocento, sono poche e, anche se con frizioni manifeste tra loro, si orientano ed esprimono una comune direzione, costruita in decenni di sovranità scientifica, politica ed amministrativa. Nei nostri confronti molti hanno posizioni liberali e concilianti ma certamente si chiedono qual è l’interlocutore di riferimento. Non è ozioso ricordare che il convitato di pietra di qualunque confronto, disputa, convegno, riunione è manifestamente l’interesse, privato innanzi tutto.
Qualunque match tra una categoria organizzata, riconosciuta e facoltosa ed una controparte fragile ed apatica è perdente in partenza.

Potremmo (dovremmo) anche aprire un paragrafo sulle scuole, sulle aziende, sulle università, sulla congiuntura socio-economica, sulle prospettive politiche ed infine anche, non sterile dibattito, sulla tecnologia prossima ventura che già ora sta facendoci immaginare frammenti di metamorfosi.

Caro amico Alessandro perdonami la forma prolissa ma sono ormai troppo anziano per accettare di confrontarmi su luoghi comuni; continuo a credere, con Gaber, che la vera libertà sia la partecipazione, ma che i segnali passati, presenti (e futuri?) della nostra “categoria” sembrano orientati a mantenere le divisioni o a costruirne delle nuove e quindi senza futuro comune.

Grazie dell’ospitalità.
Sergio K.

Un pensiero su “Se questo è il presente, il futuro non sarà certo migliore”
  1. Cito dalla lettera di Sergio Cappa: “Le associazioni di categoria quindi rappresentano uno sparuto gruppo di colleghi, spesso in dissidio tra loro (…) presenti in congressi, spesso autocelebrativi, orgogliosi di mostrare la propria inarrivabile sapienza, ma comunque sempre piccolo gregge che si annusa.”
    Caro Sergio, la tua descrizione della realtà associativa dell’optometria italiana mi lascia perplessa. Quando si rilasciano affermazioni così assolute, generiche e perentorie, serve essere più dettagliati: serve fare nomi. Specificare.
    Sono sicura che volevi mettere l’accento sulla scarsa partecipazione agli eventi di categoria e che ben conosci e apprezzi alcune realtà associative, di cui facciamo parte entrambi, guidate da giovani optometristi/e, che non meritano di essere genericamente solo criticati/e. Un saluto, Laura Livi

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