Pubblicato su Eye Glasses, supplemento della rivista Eye Doctor 1/2023
Le varie sfaccettature dell’attività dell’ottico non sono sempre ben note al pubblico. Intanto non tutti sanno che gli ottici che lavorano nei negozi devono aver obbligatoriamente acquisito una abilitazione. Si chiama “Abilitazione all’esercizio dell’arte ausiliaria sanitaria dell’Ottico” e viene acquisita superando un apposito esame controllato dal Ministero della Salute e da quello dell’Istruzione o in alternativa da una Regione, a seconda che venga acquisita in un istituto statale professionale a indirizzo ottico o dopo un corso professionale post maturità accreditato dalla Regione. Gli ottici, dunque, son abilitati dallo Stato (o dalla Regione su delega dello Stato) a svolgere la loro attività e sono gli unici esperti riconosciuti dell’ausilio ottico correttivo, ovvero di occhiali e lenti a contatto. Mi preme sottolinearlo perché a volte neppure gli ottici stessi sono coscienti del ruolo importante che l’abilitazione assegna loro per legge.
Eppure, molto spesso l’ottico viene visto come il semplice fornitore di occhiali, che vengono approntati sulla base di una ricetta fornita dall’oculista, o in alternativa dopo una visita effettuata nel centro ottico stesso. Ecco che nell’idea di molti consumatori l’ottico si presenta principalmente come un commerciante, dal quale magari poter acquistare occhiali di pregio e con lenti “buone”, non come quelle dei “premontati” o quelle proposte dalle “sirene” di internet, con prezzi difficilmente giustificabili se non da un miserevole livello di qualità, o lenti a contatto e accessori. La realtà del mercato italiano è però ben diversa, molto più variegata e complessa, fatta di tanti ottici che si differenziano per le attività che svolgono oltre a quella commerciale. A grandi linee possiamo dire che accanto all’ottico appena descritto ne esiste un altro, che ha preso sì l’abilitazione, ma che ha poi continuato a studiare, facendo un corso di optometria in scuole accreditate dalle Regioni o in corsi universitari di Ottica e Optometria, e che svolge una attività professionale spesso multiforme. Oltre alla misura della vista, anche in casi complessi, è in grado di valutare le necessità correttive o riabilitative connesse ai difetti visivi e alle eventuali condizioni anomale della funzionalità visiva e percettiva, di effettuare attività di allenamento visivo, di prescrivere le lenti a contatto e di valutarne l’efficacia e la sicurezza, di utilizzare anche una strumentazione molto sofisticata per inquadrare meglio le problematiche dei soggetti con problemi di vista.
Sia chiaro che con questa suddivisione in due branche dell’ampio bacino degli ottici italiani non intendo dare nessuna patente di privilegio o di qualità operativa: ognuno dei due ottici svolge un lavoro altrettanto utile alla società rivolto a coloro che hanno problemi della vista, il primo svolgendo una valida attività di servizio commerciale, rendendo facilmente disponibile tutta una serie di prodotti certificati e garantiti nella qualità, ma eventualmente fornendo anche un servizio informativo di grande importanza, il secondo offrendo un servizio a tutela della salute visiva, sia con le visite optometriche e con l’attività specialistica associata alle lenti a contatto, sia con l’individuazione di quelle situazioni che possono avere la necessità di un intervento urgente di uno specialista. Potremmo chiamare quest’ultimo ottico, optometrista, non per dargli una patente o una seconda abilitazione, me ne guardo bene, ma solo per connotare l’attività che svolge e che lo differenzia dal primo, per il quale è prevalente la connotazione commerciale. Grazie alla sua attività questo secondo ottico, optometrista, ha la capacità di comprendere quando il soggetto con problemi della vista possa essere trattato con un semplice ausilio visivo o quando invece abbia la necessità dell’intervento di altri professionisti della salute della vista, come l’oftalmologo o l’assistente di oftalmologia (ortottista) e agire di conseguenza. È automatico, dunque, che questi ottici consiglino ai loro clienti di rivolgersi all’oculista, per integrare la misura della vista da loro effettuata con una visita approfondita delle strutture oculari o anche per una semplice visita di controllo, a scopo preventivo.
Ora, questa struttura così ben distribuita di operatori abilitati ad un servizio che fa parte dell’ambito della salute pubblica è sottoutilizzata. O meglio, non è utilizzata dal sistema sanitario nazionale. O meglio ancora è utilizzata surrettiziamente, soprattutto per quelli che ho chiamato “tout court” optometristi, per coprire le carenze del sistema sanitario nazionale in ambito della visione. Cosa intendo dire: gli ottici, e soprattutto gli optometristi, svolgono un gran numero di esami della vista, in molti casi anche in modo gratuito, a persone che altrimenti non troverebbero rapida ed efficace soddisfazione nella sanità pubblica. Che la sanità italiana sia in difficoltà non è certo un mistero e anche il settore legato ai problemi della vista, ovvero quello oftalmico, non fa eccezione. Il numero di oculisti va diminuendo, mentre il numero di coloro che hanno bisogno di un controllo oftalmico va aumentando.
Sono in aumento le patologie retiniche, ad esempio quella legata al diabete e la maculopatia legata all’età, è in aumento il glaucoma, i pazienti ipovedenti sono già oggi e lo saranno ancor più nei prossimi anni, in aumento. La prevenzione sta diventando una pratica sempre più importante e non può essere appoggiata esclusivamente su poche migliaia di oculisti: per quanto bravi ed efficienti non potranno affrontare quanto sarebbe necessario per cercare di garantire al cittadino una assistenza adeguata a contrastare il decadimento visivo, fino all’ipovisione e in qualche caso alla cecità, e tutte le conseguenze sociali ad esso legate.
I dati che vengono fuori da ricerche varie mostrano nella realtà dei fatti che la struttura sanitaria pubblica non è in grado di rispondere pienamente alle richieste imposte dalla normativa vigente. Il Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità segnala quasi tre mesi di attesa per una visita oculistica, ma si tratta di dati relativi al 2017. Cosa possiamo aspettarci dopo il periodo COVID durante il quale la sanità è entrata in crisi e le prestazioni sanitarie sono state contingentate? Oggi, con una minor disponibilità di personale medico, devono essere ancora recuperate prestazioni che sono state sospese dalle aziende sanitarie o rimandate dagli stessi pazienti, ed è inevitabile che le liste di attesa si siano allungate in modo imbarazzante. Su questo tema, per quanto riguarda l’oftalmologia, è illuminante l’esempio della chirurgia della cataratta, dove i tempi di attesa possono arrivare in qualche regione fino a tre anni (fonte Società Oftalmologica Italiana). Ma è un paese serio questo?
Una soluzione è possibile: accreditare una rete di ottici e optometristi e dare la possibilità al cittadino con problemi visivi di rivolgersi in prima istanza ai centri accreditati per tutta quella serie di servizi che già oggi, di fatto, gli ottici e gli optometristi svolgono. Misura della vista, ma anche analisi dei disturbi funzionali della visione, misure strumentali diverse, o perché necessarie, ad esempio, per la scelta e realizzazione del tipo di correzione, o perché prescritte dal medico. Durante il colloquio clinico, e poi con i vari test, vengono abitualmente raccolte indicazioni utili a comprendere le condizioni e le problematiche visive del soggetto, e tali indicazioni possono essere utilizzate per un fine di orientamento, ovvero per inviare il paziente dall’oculista, quando nessuna visita oftalmologica è stata fatta da tempo o quando vi siano condizioni che la richiedano. È così che si può fare prevenzione, è così che si può dare un servizio veramente efficace ad una popolazione che sta sempre più invecchiando e che avrà sempre più malattie visivamente invalidanti come la maculopatia, il glaucoma, la retinopatia diabetica. Gli oculisti devono poter dedicare meno tempo alla misura puntuale della vista, dato che questa attività può essere svolta convenientemente da un altro operatore sanitario. In tal modo avrebbero più tempo per dedicarsi alla chirurgia della cataratta, o per occuparsi delle patologie oculari in aumento, facendo prevenzione e intervenendo con terapie adeguate, tanto più sapendo bene che prima si interviene maggiori saranno le possibilità di mantenere un residuo visivo che garantisca una adeguata qualità della vita. Tutto questo porterebbe anche a una drastica riduzione della lunghezza delle liste di attesa e ad un risparmio consistente per la sanità pubblica.
Le Regioni devono assicurare ai cittadini una assistenza sanitaria degna di questo nome e nell’ambito della salute visiva lo possono fare garantendo agli oculisti la possibilità di esercitare al meglio la loro professione, liberandoli dai lacci della semplice misura della vista e dando così valore alle loro competenze e capacità. Passino dunque, le Regioni, nell’interesse della salute visiva (e non solo) dei loro cittadini, a normare l’accreditamento di centri ottici per la misura della vista e a dare finalmente un ruolo pubblico all’attività degli ottici con competenze optometriche, come peraltro già insito nella qualità della loro abilitazione.
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