Diffondo una lettera che mi è stata inviata da un collega e amico vero, deluso e disilluso da tutto quanto avvenuto nell’ultimo mezzo secolo in Italia per il riconoscimento della professione optometrica. Considerazioni amare che alcuni condivideranno e approveranno, altri rigetteranno. Mi aspetterei di ricevere tanti, tanti commenti. In fondo si tratta del nostro lavoro, e in molti casi della nostra vita. Parlarne, confrontarsi, dibatterne, forse ci aiuterebbe a capire meglio cosa è accaduto in passato e a trovare un cammino comune per il futuro dell’optometria e dell’ottica.
Post scriptum.
Nella revisione della lettera – il blog è controllato, nei contenuti e nella forma – mi sono permesso di lasciare un piccolissimo richiamo, vorrei dire un omaggio, al grande Andrea Camilleri e alla sua lingua, che è anche la lingua dell’autore della mail, resa popolare dal commissario Montalbano. Buona lettura e, naturalmente, buona optometria a tutti.
Caro Alessandro,
mi permetto di darti del tu anche in pubblico visto il rapporto di amicizia che ci lega dal lontano 1976, anno in cui decisi di frequentare il corso di ottica e optometria di Vinci dopo avere regolarmente conseguito la maturità scientifica nello stesso anno. Prima di farlo, assieme a mio padre che mi accompagnava, ho parlato con Sergio Villani (non ce l’ho con Te caro Sergio, sappilo). Ho ancora ben impresse nella mente le sue parole: “torno proprio ora da Firenze, l’optometria verrà approvata come professione o questa o la prossima settimana”. Aspetto da 47 anni.
Avrei potuto fare altro nella vita, l’ottica non era nella tradizione della mia famiglia. Ma poi pensai, perché no, avevo da poco compiuto 18 anni, la materia mi affascinava, il posto stupendo, decisi di iscrivermi. Nel 1980 esattamente nel mese di dicembre inaugurai la mia attività di ottico a Marsala e da allora, imperterrito ed ancora appassionato della professione, ogni giorno vado in negozio.
Ancora oggi caro Alessandro, tu senza dubbio più deciso di me, scrivi o parli di optometria e addirittura di “Optometria con un ruolo Sociale”. Aggiungi persino un aggettivo importante al ruolo dell’optometria, quel “sociale” che vuole prendere in esame un suo lato altamente positivo. Ma scusate, in Italia cosa è oggi l’optometria, chi sono gli optometristi, cosa hanno fatto questi “professionisti” per la loro professione? In questi oltre 40 anni di attività ho visto solo perdita di valore aggiunto attorno all’occhiale e al suo mondo e chi sono stati i primari artefici di questa svalutazione dell’occhiale nell’ immaginario collettivo se non gli ottici/optometristi. Scusa, ma a quale figura professionale e/o professionista si dovrebbe rapportare l’aggettivo di sociale se il sostantivo praticamente non esiste.
Ogni volta mi si dice: ma “anche gli oculisti non sono tutti uguali”; vero è, ma almeno quelli più deboli tra di loro si riconoscono e si trincerano dietro un titolo professionale ed una professione. Noi invece non abbiamo fatto altro che picconare sia il titolo – ottici, optometristi, ottici optometristi (ancora discutiamo e non sappiamo bene come ci dobbiamo chiamare) – sia la nostra professionalità, andando solo ed esclusivamente dietro al ritorno commerciale (ovviamente non vale per tutti sia in senso negativo che positivo). Tanto è vero che la nuova generazione, figli dei vecchi ottici/optometristi, è stata mandata dai propri padri prevalentemente a frequentare uno dei vari “diplomifici” in giro per l’Italia e non le vere scuole di ottica o le nuove facoltà.
Sono molto deluso da tutto ciò, perché dopo oltre 40 anni dedicati all’attività la mia professionalità viene messa giornalmente a paragone dell’occhiale ordinato su internet o dell’occhiale realizzato dal collega vicino (monofocale antiriflesso completo € 45,00) e credetemi, sono stanco, sono stanco ancora di sentire “ruolo sociale dell’optometria”, ruolo di una cosa che non esiste, come sono stanco di titoli professionali che le università di questo paese rilasciano non riconoscendone poi la professione, sono stanco quindi di aspettare un riconoscimento che non avverrà probabilmente mai. E allora non parliamo più di optometria ma di ottici, almeno avremo fatto una cosa in 50 anni, avremo deciso cosa siamo e come ci chiamiamo: “OTTICI”.
Vito Paolo Rallo
Al di là del più o meno lieve senso di amarezza che si percepisce tra le righe, io direi che è tutto vero, è proprio così. Chi scrive ha iniziato il suo percorso nell’ottica poco dopo gli anni ottanta e solo pochi anni fa ha terminato il corso di optometria. Condivido in toto o quasi lo scritto del signor Vito Paolo Rallo. Molto in sintesi, per me la strada imboccata dagli optometristi non era, ( e non è), quella più giusta, per cui ora diventa arduo, se non impossibile, aggiustare il tiro. Tuttavia quello dedicato all’optometria non è certamente tempo sprecato, ma, dal nudo e crudo lato pratico, (come direbbe un mio conoscente), a tutt’oggi risulta titolo e formazione accessoria, non necessaria. Questo è, secondo me.
Bruno, grazie del commento, concordo con la prima parte e con l’affermazione che “quello dedicato all’optometria non è certamente tempo sprecato”. Non concordo pienamente con le conclusioni. A mio parere non si può considerare l’optometria come una formazione accessoria dell’ottica. Credo invece sia corretto affermare che non sia necessaria: oggi abbiamo infatti due professioni che nascono da un’unica radice, e ognuna delle due può avere vita propria o in comune. Come padre e figlio possono vivere nella stessa famiglia o ognuno per conto proprio.